mercoledì 28 maggio 2008

PER IL PARTITO COMUNISTA

L’assemblea di Marino del 27 maggio
Di Maurizio Aversa

CRONACA
Qualche decina di persone di sinistra si sono confrontate sui temi proposti alla discussione:informazione e società dell’informazione, cultura, alternativa economica.
Numerosi sono stati gli interventi. Tutti consapevoli, esplicitandolo, che uno degli obiettivi da percorrere è una inistra unita e presente per dare risposte all’Italia così come localmente. Socialisti, Comunisti di Rifondazione e dei Comunisti italiani, Verdi e Sinistra democratica, tutti sono stati intenti ad ascoltare e a cercare di rispondere ai quesiti che singole persone di sinistra sono venuti a porre. Anche con vere e proprie proposte. Per quanto riguarda l’approfondimento della scelta aumento dei consumi nei servizi o decrescimento. Così come per un diverso modo di proporre il confronto svolto in modo più vasto, tematico e con esperienze dirette di partecipanti autori della elaborazione nazionale dei programmi e dei progetti della sinistra italiana. Inoltre, anche proposte su come intervenire nel locale e subito per bloccare sventatezze del governo locale. Quindi, una sinistra viva. Una sinistra che il gruppo di lavoro che ha messo in piedi questo percorso si aspettava proprio.

COMMENTO
Pochissimi mesi fa ci si è ritrovati. Nel senso della completa corresponsabilità politica delle forze-organizzazioni che si sono ritrovate. Le persone, i compagni e le compagne, che in carne ed ossa sono queste organizzazioni si sono ritrovate.
Pare non sia bastato. Rinvio alle analisi già compiute collettivamente e singolarmente, o nei duetti e nei crocchi.
Ma, confermo, che pare proprio che non sia bastato, non solo alla luce funesta dei vari responsi-condanne elettorali (a proposito qualcuno ha notato che c’è stata questa rimozione tacita a menzionare l’altra batosta per sinistra, arcobaleno e Pd in Valle d’Aosta?), ma anche rispetto alla necessità soggettiva (dei partecipanti che vengono e ti chiedono: insomma che fate?) oltre che a quella oggettiva che è certificata dalla nostra analisi-proposta-verifica.
E che occorra andare oltre il ritrovarsi è evidente qui di fronte a noi.
Non possiamo offrire punti di riferimento se non affiniamo-condividiamo analisi e proposta.
Non possiamo proporci come opposizione o come propositivi di scelte di governo se non ci strutturiamo come forza unita (più o meno compatta) non leggera, non provvisoria.
In poche righe e già c’è, lo ribadisco, il solco tracciato davanti a noi. Senza cincischiare e senza guardare chissà a quale monolite (mai esistito anche se evocato) del passato.
La risposta è l’unità della sinistra (partiti, movimenti, singoli, associazioni…) forte di un programma condiviso.
Ma questa unità e questo agire unitario, sta in capo a qualcuno che sia in grado di garantirlo per l’oggettiva generosità del proprio agire. Questo qualcuno non è un singolo. E’ un intellettuale collettivo, è una forza “normalmente” abituata ad agire a favore degli oppressi e degli ultimi e senza chiedere in cambio nulla. E se ci sono state eccezioni, erano errori e quindi eccezioni. Quella forza, proprio perché non inventata a tavolino oggi, ma già presente nella memoria (nel senso sanscrito: pensare) di chi la ha conosciuta come di chi la percepisce solo ora per motivi anagrafici, è l’idea comunista. Ed i nostri obiettivi, di contenuto e di metodo politico come la ricerca dell’unità della sinistra, può essere messa serenamente nel novero dei compiti “normali” di un forte partito comunista.
Non impelaghiamoci in inutili astrattismi. Le cose che ognuno, forza o singolo, ha sostenuto fino ad oggi, avevano ragione di essere, proprio perché occorreva iniziare un percorso di confronto chiaro partendo d una strada già percorsa. Ora è tempo di riconoscere che le scelte sono giunte all’appuntamento. Dunque, intelligenza, fermezza di nervi, chiarezza di progetto e resistere contro, ma costruire per; difendere ma ottenere. Non è partito di governo e di lotta: è progetto per la difesa minima della democrazia ed ottenimento di livelli di salvaguardia che non facciano tracimare il nostro riferimento, il nostro innevamento naturale che sono le classi lavoratrici.
E’ la forza che garantisce tutti e non tradisce nessuno quella di cui c’è maggior bisogno. E’ la forza che lega insieme le anime politiche e culturali della sinistra con l’egemonia del pensiero e delle idee non del potere omologante che garantisce l’unità della sinistra. E’ il partito comunista, quello dei “diversi” che mostra con la quotidianità diffusa (come il significato del daba ebraico: il verbo, l’esempio concreto) come un ri-inizio è possibile.

martedì 27 maggio 2008

AGGRESSIONE FASCISTA A ROMA

Lazio; Roma,
Collettivi La Sapienza:'aggrediti, un accoltellato'"Erano fascisti con spranghe e celtiche", più tardi corteo
Roma, 27 mag. (Apcom) - Circa dieci studenti dei collettivi di sinistra dell'Università La Sapienza di Roma sono stati aggrediti questa mattina in Via Cesare De Lollis, nei pressi dell'ateneo, da una ventina di persone appartenenti, a quanto riferiscono gli stessi collettivi, a organizzazioni politiche di estrema destra: numerosi, a quanto riferito, i feriti, tutti tra i collettivi.
Proprio ieri i collettivi avevano occupato la presidenza della Facoltà di Lettere contro "l'agibilità concessa dal preside ai neofascisti della fantomatica sigla 'Lotta Universitaria', inesistente all'università ed espressione del movimento neonazista Forza Nuova" che avrebbe dovuto tenere una conferenza sulle Foibe."Questa mattina, dopo la nostra azione di ieri - spiega Giorgio del collettivo della Facoltà di Fisica - tutto intorno all'Università sono comparsi decine di manifesti di Forza Nuova: anche noi allora abbiamo iniziato oggi ad attaccare i nostri. Ma in Via Cesare De Lollis sono arrivate 4 auto da cui sono scese una ventina di persone con spranghe e catene: una aveva la maglietta dei Boys (ultrà della Roma, ndr) e un altro una croce celtica tatuata sul polpaccio. Erano quelli di Forza Nuova che difendevano il territorio e non erano studenti, alcuni avranno avuto almeno 30 anni".
Secondo i collettivi ci sono stati "diversi feriti, spalle rotte, teste spaccate": nella facoltà di Lettere si è subito riunita un'assemblea degli studenti di sinistra nella quale si è pubblicamente accennato ad "un ragazzo accoltellato".
Il fatto specifico, però, non è confermato nè dai collettivi nè dagli operatori sanitari: in Via De Lollis è infatti intervenuto il 118, con la segnalazione di un ragazzo ferito al volto, ma gli operatori non hanno rintracciato persone che necessitassero di soccorso.
Anche alla polizia allostato attuale risulta solo una "lite in strada, non all'interno dell'ateneo. Le persone che hanno partecipato alla rissa si sono dileguate. Al momento - spiega la Questura - non ci sono indicazioni nè sul colore politico dei partecipanti, nè sul loro numero esatto, nè di feriti più o meno gravi".
"Ora siamo a Lettere, stanno arrivando tanti compagni da tutta la città", conclude Giorgio: nel pomeriggio, terminata l'assemblea spontanea, è infatti previsto un corteo nella zona per protestare contro l'accaduto.

COMMENTO
L'eccessiva prudenza della questura che minimizza, l'ipocrisia e la mistificazione di questi giorni dopo i fatti del Pigneto da parte di Alemanno, ripropongono con forza la necessità dell'antifascismo come valore democratico che i partiti ed ogni singolo di sinistra devono sentire come pensiero quotidiano. Vigilanza democratica e antifascista è la parola d'ordine.

venerdì 23 maggio 2008

DILIBERTO A VICENZA

Diliberto, Appello a Rifondazione: «Ricominciamo da noi»
23 maggio 2008

Ripartire dall`unità di due partiti «che dieci anni fa erano insieme»: Rifondazione comunista e i Comunisti italiani. E' la proposta del segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, dopo la dura sconfitta elettorale che ha dissolto la Sinistra Arcobaleno. Se ne parlerà questa sera a Vicenza nei Chiostri di Santa Corona, che ospiteranno la manifestazione pubblica «Comuniste e comunisti, cominciamo da noi» con Diliberto e Gianluigi Pegolo, della direzione nazionale del Prc, e l`adesione dell`astrofisica Margherita Hack.
Segretario Diliberto, si va verso la riunificazione dei comunisti?
«L`esperimento della Sinistra arcobaleno è fallito, bocciato dagli elettori. Noi raccogliamo l`appello formulato dopo le elezioni da intellettuali e quadri operai che ci chiedevano proprio questo: la riunificazione dei comunisti. Ciò non esclude rapporti unitari anche con altri. Il fatto è che non vedo molti "altri" in circolazione».
Nel Prc c`è chi preme per riprendere il dialogo con il Pd...
«Il problema è che i comunisti, tutti i comunisti, sono stati esclusi dal Parlamento e che la responsabilità della debacle grava in larga parte sul Pd e sul suo attuale gruppo dirigente. Mi pare difficile poter riprendere il discorso con questi interlocutori. So bene che c`è una dialettica all`interno del Pd e non sono insensibile ai richiami di chi, nel Pd, vorrebbe ricominciare a parlare con noi. Ma non mi sembra il caso di presentarsi da Veltroni con il cappello in mano».
Non teme un accordo tra Pdl e Pd per mettere uno sbarramento al 5 per cento nella legge elettorale per le europee?
«Fino a due anni fa non soltanto la sinistra radicale unita ma anche i due partiti comunisti da soli, con tre milioni di voti, avrebbero superato agevolmente questa soglia. A maggior ragione, ora, urge un processo di riunificazione che potrebbe suscitare di nuovo entusiasmo e passione tra chi è rimasto deluso. In ogni caso, facciano attenzione Pdl e Pd alle soglie di sbarramento, ci pensino bene prima di trasformare una sinistra democratica già extraparlamentare in sinistra extraistituzionale».
Perché avete scelto Vicenza, dove i comunisti a occhio e croce non sono moltissimi?
«È un luogo simbolico, per l`allargamento della base americana. Ci ricorda uno dei più gravi errori del governo Prodi: non aver ripensato a quel sì, dopo la grande manifestazione contro il raddoppio».

giovedì 22 maggio 2008

COMUNISTIUNITI

COMUNISTE E COMUNISTI
COMINCIAMO DA NOI

Dopo il crollo della Sinistra Arcobaleno, ci rivolgiamo ai militanti e ai dirigenti del Pdci e del Prc e a tutte le comuniste/i ovunque collocati in Italia
Siamo comuniste e comunisti del nostro tempo. Abbiamo scelto di stare nei movimenti e nel conflitto sociale.
Abbiamo storie e sensibilità diverse: sappiamo che non è il tempo delle certezze. Abbiamo il senso, anche critico, della nostra storia, che non rinneghiamo; ma il nostro sguardo è rivolto al presente e al futuro. Non abbiamo nostalgia del passato, semmai di un futuro migliore.
Il risultato della Sinistra Arcobaleno è disastroso: non solo essa ottiene un quarto della somma dei voti dei tre partiti nel 2006 (10,2%) - quando ancora non vi era l’apporto di Sinistra Democratica - ma raccoglie assai meno della metà dei voti ottenuti due anni fa dai due partiti comunisti (PRC e PdCI), che superarono insieme l’8%. E poco più di un terzo del miglior risultato dell’8,6% di Rifondazione, quando essa era ancora unita.
Tre milioni sono i voti perduti rispetto al 2006. E per la prima volta nell’Italia del dopoguerra viene azzerata ogni rappresentanza parlamentare: nessun comunista entra in Parlamento.
Il dato elettorale ha radici assai più profonde del mero richiamo al “voto utile”, tra cui risaltano la delusione estesa e profonda del popolo della sinistra e dei movimenti per la politica del governo Prodi e l’emergere in settori dell’Arcobaleno di una prospettiva di liquidazione dell’autonomia politica, teorica e organizzativa dei comunisti in una nuova formazione non comunista, non anti-capitalista, orientata verso posizioni e culture neo-riformiste. Una formazione che non avrebbe alcuna valenza alternativa e sarebbe subalterna al progetto moderato del Partito democratico e ad una logica di alternanza di sistema.
E’ giunto il tempo delle scelte: questa è la nostra
Non condividiamo l’idea del soggetto unico della sinistra di cui alcuni chiedono ostinatamente una “accelerazione”, nonostante il fallimento politico elettorale. Proponiamo invece una prospettiva di unità e autonomia delle forze comuniste in Italia, in un processo di aggregazione che, a partire dalle forze maggiori (PRC e PdCI), vada oltre coinvolgendo altre soggettività politiche e sociali, senza settarismi o logiche auto-referenziali.
Rivolgiamo un appello ai militanti e ai dirigenti di Rifondazione, del PdCI, di altre associazioni o reti, e alle centinaia di migliaia di comuniste/i senza tessera che in questi anni hanno contribuito nei movimenti e nelle lotte a porre le basi di una società alternativa al capitalismo, perché non si liquidino le espressioni organizzate dei comunisti ed anzi si avvii un processo aperto e innovativo, volto alla costruzione di una “casa comune dei comunisti”.
Ci rivolgiamo:
- alle lavoratrici, ai lavoratori e agli intellettuali delle vecchie e nuove professioni, ai precari, al sindacalismo di classe e di base, ai ceti sociali che oggi “non ce la fanno più” e per i quali la “crisi della quarta settimana” non è solo un titolo di giornale: che insieme rappresentano la base strutturale e di classe imprescindibile di ogni lotta contro il capitalismo;
- ai movimenti giovanili, femministi, ambientalisti, per i diritti civili e di lotta contro ogni discriminazione sessuale, nella consapevolezza che nel nostro tempo la lotta per il socialismo e il comunismo può ritrovare la sua carica originaria di liberazione integrale solo se è capace di assumere dentro il proprio orizzonte anche le problematiche poste dal movimento femminista;
- ai movimenti contro la guerra, internazionalisti, che lottano contro la presenza di armi nucleari e basi militari straniere nel nostro Paese, che sono a fianco dei paesi e dei popoli (come quello palestinese) che cercano di scuotersi di dosso la tutela militare, politica ed economica dell’imperialismo;
- al mondo dei migranti, che rappresentano l’irruzione nelle società più ricche delle terribili ingiustizie che l’imperialismo continua a produrre su scala planetaria, perchè solo dall’incontro multietnico e multiculturale può nascere - nella lotta comune - una cultura ed una solidarietà cosmopolita, non integralista, anti-razzista, aperta alla “diversità”, che faccia progredire l’umanità intera verso traguardi di superiore convivenza e di pace.
Auspichiamo un processo che fin dall’inizio si caratterizzi per la capacità di promuovere una riflessione problematica, anche autocritica. Indagando anche sulle ragioni per le quali un’esperienza ricca e promettente come quella originaria della “rifondazione comunista” non sia stata capace di costruire quel partito comunista di cui il movimento operaio e la sinistra avevano ed hanno bisogno; e come mai quel processo sia stato contrassegnato da tante divisioni, separazioni, defezioni che hanno deluso e allontanato dalla militanza decine di migliaia di compagne/i. Chiediamo una riflessione sulle ragioni che hanno reso fragile e inadeguato il radicamento sociale e di classe dei partiti che provengono da quella esperienza, ed anche gli errori che ci hanno portati in un governo che ha deluso le aspettative del popolo di sinistra: il che è pure all’origine della ripresa delle destre. Ci vorrà tempo, pazienza e rispetto reciproco per questa riflessione. Ma se la eludessimo, troppo precarie si rivelerebbero le fondamenta della ricostruzione. Il nostro non è un impegno che contraddice l’esigenza giusta e sentita di una più vasta unità d’azione di tutte le forze della sinistra che non rinunciano al cambiamento. Né esclude la ricerca di convergenze utili per arginare l’avanzata delle forze più apertamente reazionarie. Ma tale sforzo unitario a sinistra avrà tanto più successo, quanto più incisivo sarà il processo di ricostruzione di un partito comunista forte e unitario, all’altezza dei tempi. Che - tanto più oggi - sappia vivere e radicarsi nella società prima ancora che nelle istituzioni, perché solo il radicamento sociale può garantire solidità e prospettive di crescita e porre le basi di un partito che abbia una sua autonoma organizzazione e un suo autonomo ruolo politico con influenza di massa, nonostante l’attuale esclusione dal Parlmento e anche nella eventualità di nuove leggi elettorali peggiorative.
La manifestazione del 20 ottobre 2007, nella quale un milione di persone sono sfilate con entusiasmo sotto una marea di bandiere rosse coi simboli comunisti, dimostra – più di ogni altro discorso – che esiste nell’Italia di oggi lo spazio sociale e politico per una forza comunista autonoma, combattiva, unita ed unitaria, che sappia essere il perno di una più vasta mobilitazione popolare a sinistra, che sappia parlare - tra gli altri - ai 200.000 della manifestazione contro la base di Vicenza, ai delegati sindacali che si sono battuti per il NO all’accordo di governo su Welfare e pensioni, ai 10 milioni di lavoratrici e lavoratori che hanno sostenuto il referendum sull’art.18.
Auspichiamo che questo appello – anche attraverso incontri e momenti di discussione aperta - raccolga un’ampia adesione in ogni città, territorio, luogo di lavoro e di studio, ovunque vi siano un uomo, una donna, un ragazzo e una ragazza che non considerano il capitalismo l’orizzonte ultimo della civiltà umana.

POLITICA : CONTRIBUTI ALLA SINISTRA

Informazione, società dell’informazione, sinistra per cambiare

di Maurizio Aversa

Come sempre è una questione di analisi. Se comprendiamo ciò di cui ci vogliamo occupare, potremmo anche essere in grado di stabilire ciò che vogliamo. E, misurati i rapporti di forza, ciò che possiamo e quale struttura organizzativa ci necessita per raggiungerlo.
Siamo nella società dell’informazione? Si e no.

Si, lo siamo.
Se ci vogliamo riferire al fatto che dal nostro punto di vista, di minoranza di paesi occidentali sappiamo come si domina-rapina il rimanente 80% del pianeta. Non solo nel senso dei beni materiali e dell’aberrante meccanismo che distrugge migliaia di vite umane ogni giorno per stupide ed egoistiche scelte compiute a centinaia-migliaia di chilometri da dove la tragedia ha svolgimento. Ma anche e soprattutto nel senso che senza sentirne il peso, con lo stesso meccanismo si cancellano relazioni umane, sedimenti culturali, storie di popoli che, sopravvissuti a secoli di darwinismo sociale e naturale, vengono spazzati via dalle scelte predatorie dei dominatori. Dominatori, imperialisti che, banalmente, quando non riescono più a far quadrare i conti del meccanismo perverso dell’arricchimento capitalistico, allungano la mano e, in grande, svolgono la medesima funzione che hanno già perpetrato all’interno dell’area a loro più prossima. Ora tutto questo fare, non nuovo, assume anche l’aspetto di connotarsi come inserito nella “società dell’informazione” sia per la semplicità della diffusione della conoscenza degli accadimenti; sia perché si caratterizza di altri due elementi assenti nei decenni precedenti. Uno è la velocità della conoscenza diffusa e delle scelte compiute dai detentori del potere che permea tale tipo di società. L’altra è l’omologazione culturale e politica che consente – all’apice del raggiungimento – l’applicazione del meccanismo:

potere economico = potere politico;
potere politico = condivisione dei modelli-valori culturali;
condivisione dei modelli-valori culturali = pericolo dei diversi.


E’ fin troppo facile, e non è costruito al contrario questo approccio analitico già presente – prima della catastrofe elettorale – nella società, nel movimento pacifista terzomondista, nelle minoranze (?) sindacali organizzate, nel fermento delle riflessioni degli intellettuali, nella sinistra storica, in quella nuova ecc.

No, non lo siamo.
Se prendiamo come orizzonte di analisi non il “nostro punto di vista” ma la situazione quale essa è nei rapporti tra poche centinaia di milioni di persone a fronte di miliardi di persone; dove i rapporti tra poche nazioni della società occidentale capitalisticamente strutturata con altre decine di paesi non passano assolutamente per la società dell’informazione, anche se cominciano ad affacciarsi i modelli-valori culturali, ma sono improntati all’asservimento delle oligarchie di potere locale. In verità, non è riproposto il vecchio modello del capo (e famiglia) locali a cui affidare la guida della repubblica delle banane. Siamo ad una evoluzione raffinata. Pensiamo all’operazione Bush Junior, che sconquassa i Balcani, fa svolgere il ruolo di gendarme all’Europa e poi mette a capo del governo di Kabul, Karzai. Quello stesso, che è stato funzionario per tanti anni nelle finanziarie delle spa petrolifere della famiglia Bush. Quello stesso che fa veicolare fiumi di denaro, per le scelte geo politiche, per le scelte delle infrastrutture per le fonti fossili, per le scelte (non scelte) dell’aumento esponenziale della produzione di oppio in Afghanistan, verso i fondi Carlyle, guarda caso riconducibili alle stesse spa della famiglia Bush. Quanto c’è di casuale sul ruolo pesante che Carlyle sta svolgendo in Gran Bretagna, in Francia, in Germania ed in Italia nei settori immobiliari e finanziari (non sono un esperto, sono solo un lettore quindi non deduco per gli altri)?
Dunque, se è giusto affermare che la lettura mondiale ci fa escludere di essere nella società dell’informazione globale. Non possiamo tacere che la globalizzazione, e, qundi la società dell’informazione dal punto di vista occidentale c’è.
Poiché, noi poveri comunisti, povera gente di sinistra sconquassata dai dominatori e dalle nostre cicliche manie autolesioniste, operiamo da questo punto di vista e da questa parte del pianeta, è bene che approfondiamo con esattezza per poi prendere le contromisure e, soprattutto, per non essere semplicemente subalterni (ad analisi, riferimenti culturali, forze organizzate) proponiamo un progetto, sorretto da un impianto ideale, attivato da una forza organizzata. Insomma, pratichiamo l’essere, oltre che il ritenersi, comunisti.
Il vecchio detto che i preti non chiedevano tanto al popolo, solo gli anni fino all’adolescenza dei ragazzi per formarli, aveva davvero un suo fondo di verità. Non a caso la Chiesa (struttura) è stata in grado velocemente di aggiornarsi. Infatti quando sulla scena sociale ha iniziato ad imperversare un nuovo dispensatore di modelli di stili di vita di idee da perseguire, molti hanno pensato che sarebbe stato sufficiente conoscere dall’interno il nuovo meccanismo; praticarlo; pensare perfino di addomesticarlo; per esserne poi travolto non da una “campagna” ma dalla permanenza quotidiana della proposta unica: contano i furbi, conta il denaro, conta l’egoismo, conta essere tutti convinti che questo è il succo della società. Il resto, il diverso è il potenziale nemico. Naturalmente il riferimento diretto era alla televisione. Ma non solo come “programmazione” che conta ma può variare. Anzi, nella produzione, un “diverso” che sia ribelle ma non rivoluzionario; antitetico ma non alternativo è ancor più addomesticabile all’interno del disegno omologatore. Per questo si cacciano Santoro, Biagi, Guzzanti e Lucchetti, ma poi si cerca (ma non tutti) di ammansirli con le tirate d’orecchie. Per questo la Chiesa corre ai ripari per amplificare il segnale della radio vaticana nel mondo; crea una struttura televisiva sul satellite; struttura una delle università consorelle (Lumsa) col fine di sfornare professionisti della comunicazione inviati in redazioni e televisioni: figlia di tale operazione è la Bianchetti. Ma detto questo abbiamo raggiunto il cuore del problema. Infatti, se è vero che l’attenzione non dobbiamo limitarla ad una presenza strutturata in un determinato momento: campagna elettorale ecc.; è soprattutto vero che il fenomeno va compreso nella sua vastità.
Essa ha un nome: l’industria culturale.
Se la Fiat produce automobili, se l’italsider produce acciaio, se l’enel produce energia e le multiutility i servizi; senza una azione permanente e pianificata della ricerca ragionata, ammansita, ludica, intelligente del consenso ad uno stile di vita, ad un ordinamento di valori, quelli rimarrebbero più ai margini di quanto non lo siano per altri motivi intrinsechi al capitalismo.
Insomma, è il mercato bellezza! Ma, al proprio interno è un mercato feroce – mors tua vita mea -, mentre dall’esterno è un meccanismo quasi perfetto perché l’industria culturale (vicinissima al fare politica, alle istituzioni, al potere) propone i contenuti che riceve dal potere dominante e li trasforma banalmente in desideri individuali dai quali nessuno può prescindere. Senza scivolare nel moralismo: ma che cosa sta producendo la nostra società che sia così indispensabile agli individui? Molte cose sarebbero da ramazzare come in un famoso manifesto che buttava fuori dal mondo pezzi di potere capitalistico. Noterete che il riferimento ai contenuti sta lì. Ma che cosa si intende. Per esempio, i contenuti di grande parte della produzione fisica di libri per la trasmissione del sapere (da cui i possibili modelli) sono nelle mani di Dell’Utri e Berlusconi. E la produzione cinematografica? Non è forse divisa tra parecchia produzione che non circola – nei cinema o sui teleschermi – e molta altra acquistata da produzioni estere (soprattutto americane) da parte soprattutto di mediaset? E chi si interroga sulla televisione di Stato da mettere sul mercato? Col beneplacito di Veltroni e del PD.
Per tornare all’analisi iniziale. Non una campagna “sulla sicurezza” ha scompaginato la tenuta del partito di centrosinistra moderato (come ama definirsi Veltroni) e la coalizione dei partiti di sinistra nella loro esperienza di SinistraArcobaleno. Bensì una presenza sedimentata di modelli culturali e di valori (?) ideali veicolati col consenso ad ondate. Sezionando la società si può scientificamente perseguire tale attività, pensando a prodotti appositi: per gli anziani, per i giovani, per i rampanti, per i socialmente sensibili, ecc. Insomma una versione aggiornata del programma per l’Italia del venerabile che non a caso diede a Silvio Berlusconi la tessera numero 1882. Non a caso altre le hanno avute Cicchitto ed altra compagnia presente nell’establishment economico-politico riconducibile a quello stesso che iniziò la propria scalata dal regalo craxiano delle frequenze tv. Quella stessa notte che cinque “veramente nobili” ministri della sinistra democristiana si dimisero in blocco dal governo (va beh, ma allora andavano di moda valori e rispetto di se stessi. E schiena dritta come amava dire quel comunista di Montanelli). Questa vivisezione, per dire che se vogliamo anche assumere qualche contromisura circa i contenuti e l’azione politica e, specificatamente politico-culturale, occorre individuare un terreno idoneo. Ad esempio, non siamo presenti in Parlamento. Però, è consentito, anzi per noi è obbligo, poter avanzare proposte di legge popolare.
Guarda caso, proprio su questi “argomenti” della comunicazione e del conflitto di interessi, un governo fu distratto (e il Parlamento al seguito); il successivo non ci pensava proprio; il seguente fu interrotto per l’iniziativa veltroniana sui grandi scenari che avrebbe di lì a poco aperto…. ed ora, è proprio il nostro momento di andare tra gli elettori, tra i compagni, tra i cittadini democratici e rinnovare con loro l’impegno a far approvare una legge “normale” che risolva il conflitto di interessi per chicchessia e soprattutto per qualcuno che lo vuole scavalcare perfino da presidente della repubblica prossimo venturo. Cioè una legge che restituisca dignità di prodotto culturale e servizio pubblico per quanto attiene ad una parte dell’industria televisiva, e quindi culturale, italiana. Ma anche una legge che mostri con immediatezza al nostro blocco sociale di riferimento e a tutti i cittadini democratici che lo scontro non è tra l’intrapresa e la proprietà pubblica delle produzioni radiotelevisive, ma tra gli equilibri dei poteri democratici che in una società repubblicana e costituzionale non possono essere accentrati. In questo ragionamento, che all’apparenza appare ideologico e “difficile”, invece è semplicissimo far aderire sia chi ha la storia sulle spalle che i più giovani. Infatti occorre riflettere sul fatto che le regole democratiche, e la sensibilità costituzionale (che maldestramente Veltroni e il Pd hanno con faciloneria riconosciuto al PDL) non sono nei fondamenti costitutivi di questo governo e di questa maggioranza. Fino a che nella casa delle libertà era presente Casini e l’UDC, per un verso o per l’altro, il retaggio con la costituzione, con i valori democratici che si sono fusi come lascito della resistenza, erano conosciuti, e, per così dire, alcuni anticorpi democratici entravano in azione. Ma ora, con l’uscita dalla maggioranza e dal governo dell’UDC, siamo nelle mani di postfascisti che non si sono mai riconosciuti nella origine della costituzione e nei valori fondanti di essa (anche così si spiega la rincorsa tra Fini e Alemanno a chi è più veloce ad andare a mettere corone in ricordo delle vittime del fascismo). Per non dire dell’humus xenofobo ed anticostituzionale della Lega. Senza tacere, infine, la verve razzista, il negazionismo culturale e politico, l’anticostituzionalismo (ricordate la vicenda sulla festa del 25 aprile) di Forza Italia. Ed alle loro “scelte” non c’è nessun legame che possa far da freno. Ecco perché è semplice spiegare a cittadini democratici, siano essi sessantenni o diciottenni, che occorre porre riparo. Anche con leggi popolari, da sottoscrivere e far discutere e approvare in Parlamento. Però, visto che stiamo analizzando il profilo culturale del nostro conflitto in essere, non possiamo sottacere della scuola. Anche qui, un progetto semplice che indichi di togliere i denari pubblici per sostenere le scuole private, e, al contrario, pensare alla scuola come nuova risorsa per dar vita a moderni cittadini, democratici, solidali, consapevoli della cultura dell’accoglienza. Questa può essere un’altra proposta di legge popolare da presentare. Per quanto attiene il livello più locale – che infatti, quelle proposte hanno senso in quanto le possiamo sollecitare all’orizzonte nazionale dell’iniziativa – dovremmo continuare, almeno fino ai congressi; confermando sia il livello del confronto – temi e contenuti scelti insieme – che gli strumenti che stiamo sperimentando il blog, le assemblee e forse in seguito anche pagine scritte da divulgare a stampa.
Marino, maggio 2008