giovedì 12 giugno 2008

Gramsci e gli zozzoni di destra

E’ tutto sottosopra? La destra è arrembante a sinistra? Lucia Annunziata ha traveggole? Di tutto un po’.

di Maurizio Aversa

Questo articolo-riflessione-commento di Lucia Annunziata, secondo me va duramente contestato. Così come l’analisi circa l’utilizzo che la destra intenderebbe fare del pensiero di Gramsci. Ma non vorrei farlo con il solo commento a “rimando”. Preferisco che, sedutastante, ogni lettore prima della mia critica legga le parole tracciate dai tasti del computer di Lucia Annunziata.

Gramsci rispunta da destra
di Lucia Annunziata
Caduto in penombra a sinistra, Antonio Gramsci sta ritornando alla ribalta come uno dei riferimenti intellettuali del centrodestra al governo. Due giorni fa, nella sua audizione alla Camera lo ha citato il ministro dell’Istruzione, Gelmini. Qualche settimana fa, una citazione (delle molte) di Gramsci fatta dal ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi ha scatenato una tempesta dentro il centrodestra. È un puro caso, una pura arte del travestimento il fatto che proprio i due ministeri che nel Berlusconi IV gestiscono arte e istruzione citino questo filosofo di sinistra per eccellenza, il fondatore di quella concezione «moderna» della presa del potere che ha fornito alla sinistra italiana il suo specifico tratto non-sovietico? Può essere. Ma può anche essere che questa adozione di Antonio Gramsci sia lo specchio credibile di una nuova attitudine al potere che il governo attuale intende sviluppare. La prima cosa da ricordare è che la natura non schematica del pensiero di Gramsci, uomo dai molti interessi, dagli approcci sfaccettati e non ideologici, l’ha spesso reso interessante anche a letture non di sinistra. Nel 2007 il settantennio della sua morte ha mostrato quanto complessa è la penetrazione del gramscismo. E qualcuno ha persino detto, in quell’occasione, che oggi è proprio la destra l’erede vera del gramscismo. Frase che in Italia sa di provocazione. Ma non negli Stati Uniti, se guardiamo ai neocon americani, ad esempio al Project for the New American Century, che da Gramsci prende la convinzione che l’agire politico è nella diffusione di idee nella società civile, e che solo dopo viene il successo nella politica istituzionale. O se guardiamo alla Francia di Nicolas Sarkozy, che in un’intervista a Le Figaro, ripresa in Italia da il Giornale, ha detto: «La mia lotta non è politica, ma ideologica. In fondo mi sono appropriato dell’analisi di Gramsci: il potere si conquista con le idee». È la destra che da anni cerca di reinventarsi e che in questo processo cerca d’includere anche le lezioni imparate dalla cultura «di sinistra». Di tutte queste lezioni, quella di Gramsci è certo la più moderna, perché la sostituzione di egemonia a presa del potere è l’anticipazione di una società in cui classi e media, alleanze e simboli fondano un consenso molto più forte di qualunque coercizione. Del resto gli americani sanno bene che il loro impero si è costruito sull’entusiasmo suscitato nel mondo dal loro modello culturale. Per questi rami è arrivato anche in Italia (e da abbastanza tempo) il gramscismo di destra. La settimana dopo la sconfitta del 2006 il Domenicale, edito dal senatore Dell’Utri e diretto dal giovane Angelo Crespi, titolava «Gramscismo Liberale» per invitare a una nuova riflessione. È in quel periodo post-elettorale in effetti che rinasce nel centrodestra l’attenzione sui meccanismi del potere. Gli intellettuali, i blog, i giornali elitari del centrodestra, dal Domenicale a Ideazione, a Socci, a Veneziani, al Foglio, cominciano a fare severe autocritiche sui limiti del lavoro del governo: abbiamo occupato con gli uomini ma non abbiamo avuto idee forti, non abbiamo saputo contrastare con una nostra cultura quella della sinistra. Paradossalmente, dopo cinque anni di grande potere, una parte del centrodestra spiega allora la sua sconfitta rievocando lo spauracchio della dominazione culturale del centro sinistra: nel mondo della canzone, del cinema, della Rai, dei giornalisti, delle case editrici. Ma le teste più avvertite capiscono che si possono fare «epurazioni» (traduzione del famoso «non faremo prigionieri») ma che il consenso è qualcosa di molto più difficile da ottenere. È nata lì la riflessione sul potere con cui Berlusconi si ripresenta ora sulla scena, con parole come: memoria condivisa, fine della guerra ideologica, dialogo. La sua proposta è quella di costruire una sorta di meticciato politico, che fonde le varie idee e le rimacina. Il campione del processo è Tremonti, uscito liberista e tornato al governo protezionista (come sempre la sinistra). Ma a meglio svelare i nuovi toni, non a caso, sono i due ministeri che gestiscono la cultura. Sandro Bondi, il più affezionato degli uomini del Cavaliere, tra i suoi primi passi da ministro si rifà all’egemonia gramsciana e va a lodare a Cannes la vittoria di due film «di sinistra», e a dire che il cinema italiano (quello considerato tipico frutto del centrosinistra fino ad ora) non sta affatto morendo; sceglie di colloquiare sull’Unità con uno dei padri nobili dell’opposizione, Alfredo Reichlin, e di scrivere su il Foglio una recensione omaggio al libro dell’altro padre nobile, Eugenio Scalfari. E di annunciare infine, domenica scorsa, il suo programma, sempre a il Domenicale, parlando di superare concezioni di parte a favore dell’identità nazionale. Così anche la Gelmini, che cita Gramsci e recupera altre idee della sinistra: più soldi agli insegnanti e il riconoscimento che la scuola non è un disastro.Non tutti sono d’accordo, a destra. Ideazione scriveva in maggio di un «complesso di inferiorità» del centro destra «che fatalmente spinge i rappresentanti della parte largamente maggioritaria del Paese a riconoscere la capacità di elaborazione e controllo intellettuale degli avversari, tanto porgendole apertamente omaggio quanto - più spesso - criticandola e insieme mostrandosi impazienti di sostituirsi ad essa». Ma queste divisioni sono una ulteriore prova che a destra è in corso un tentativo consapevole di trasformazione; che il dialogo non è solo un gioco di parole. Magari non funzionerà. Ma anche solo un modesto meticciato potrebbe essere efficace nello svuotare quel che è rimasto della tradizione di sinistra. In particolare in un momento in cui questa sinistra già di per sé sente di essersi persa.


Commento di Maurizio Aversa
Concentriamoci sul primo punto. L’ipotesi della utilizzazione del pensiero gramsciano da parte della destra. Mah!, le cose spicciole tipo: scopiazzare le parole d’ordine, o i concetti generalisti che hanno substrato nella generale cultura italiana (ricordiamoci il rapporto conflittuale positivo tra Gramsci e Gobetti), o citare in pubblico – magari affinché i media ne riportino con dovizia di megafonaggio l’accadimento – una tal frase invece che tal altra, fanno parte tutte di una necessità insita nella attualità politica. Intendo che questo fare somiglia in modo spaventoso ai giri di valzer del dibattito inter e intra democristiano degli anni d’oro del potere andreottianamente gestito, per dare significato alla capacità d’uso di un certo linguaggio (quindi anche di certe frasi e concetti) che non l’aderenza e la condivisione intima di quelle. Insomma – tradotto nel tempo attuale – è come se il neodoreteo Bondi e la neoandreottiana Gelmini dimostrassero agli altri (e in virtù di questo ne traggono potere “oggettivo” intra ed extra PDL) la capacità d’uso di questi “strumenti” della sinistra. Di converso. Sempre restando alla attualità politica, che forse la sinistra ne uscirebbe bene arrabbiandosi per questo e rivendicando la sacralità del pensiero gramsciano? Mi sembra una specie di trappolone già preparato in attesa di chi ci casca. Non nel senso di qualche ultras intellettuale minoritario nella cultura, nella società e nella espressione politica. Ma nel senso di qualche insofferente che pensa a un Gramsci nostro intoccabile. O, addirittura, di qualche ultrveltroniano che s’accorge che oltre all’incompatibilità col socialismo il PD è equilontano anche da Gramsci. E allora? La questione vera, ed perché la mia annunciata durezza contro l’Annunziata, è separare immediatamente la vicenda politica piccina (dei Bondi e delle Gelmini di turno) dell’oggi dal valore oggettivo del pensiero originale e pietra miliare di Antonio Garmsci. Per la seconda parte, credo dobbiamo sperare in una espressione pubblica del professor Giuseppe Vacca o del professor Guido Liguori. Mentre per la prima è sufficiente che un po’ di dirigenti politici, o un paio di uffici stampa della sinistra (extraparlamentare) diano del mistificatore e del superficiale e dello strumentale ai Bondi e alle Gelmini.
Il Project for the New American Century citato poi dalla Annunziata come pietra di paragone per dimostrare che anche oltre atlantico la destra guarda Gramsci e la sinistra no. A Lucia, ma che stai dicendo? Non è per caso che Chavez o Lula o i movimenti di sinistra nei paesi dell’America Latina siano estesi, originali, fondati sulla cultura comunista e internazionalista. Letteralmente: non è un caso. E dovresti saperlo dopo i tuoi trascorsi a Botteghe Oscure. Dovresti saperlo dopo l’ampia fortuna che studiosi nelle varie università di Città del Messico o di Cordoba ecc. hanno insegnato per anni il pensiero gramsciano, diffondendolo in tutto il centrosudamerica. Varrà la pena, se vorrà, che qualche stimato intellettuale – magari di quelli che organizzarono proprio il convegno internazionale sulla fortuna di Gramsci in America Latina durante la Festa de l’Unità di Ferrara (Walter, mi raccomando, confermiamo l’abolizione di questi momenti di politica e cultura: sono propedeutici alla svendita di beni ed idee: ma cosa resterà?) insieme al professor Sandri dell’Istituto Gramsci Emilia Romagna commentino questi aspetti. Allo stesso modo potrà farlo uno tra i più onesti intellettuali e dirigenti politici di questi anni che conosce da vicino tutte queste realtà essendo stato sottosegretario agli esteri, Donato Di Santo. Allora? Cara Annunziata, lascia perdere. Non c’è nessuna credibilità di questa destra. Nessuna contaminazione positiva che vada oltre l’occasionalità. Nessuna concessione da fornire a sottolineature sul merito del pensiero di Gramsci. Gramsci, da sostenitore del socialismo scientifico, la prima regola che aveva chiara era la seguente: questi fascisti hanno voluto limitare la divulgazione di un pensiero critico, autonomo, originale, dei comunisti italiani. Questi fascisti l’hanno voluto fare ingabbiando materialmente il capo degli intellettuali e del partito comunista che animava tutto ciò. Questi fascisti non consentiranno alcuna regola democratica utile al confronto e metteranno a tacere la mia voce e non permetteranno il mio viaggio. Infatti, Antonio Gramsci fu assassinato dal potere fascista lasciandolo deperire in carcere. Ora si affacciano a citare? Neppure in ginocchio sarebbero credibili quelli che starnazzano sulle bontà nascoste della destra sociale (!). Chiunque, di destra, di potere di questi anni, peggio se sedicente intellettuale, di An o di Forza Italia, del PDL o di Forza Nuova, della Destra storaciana o dei leghisti della padania, volesse far finta di misurarsi col pensiero di Gramsci in modo non occasionale, dovrebbe scegliere unicamente come iniziare in pubblico una sorta di outing fatto così: “Noi, colpevoli morali dell’ostracismo di idee utili per la società e per la popolazione italiana vi chiediamo scusa. Noi, discendenti politici e culturali dei colpevoli materiali dell’omicidio di Gramsci chiediamo perdono al Paese e malediciamo Mussolini, Almirante e quanti hanno sancito la bontà del regime fascista che tanto lutto portò all’Italia e tanto profitto ad una raffazzonata borghesia rampante. Noi, che oggi vorremmo misurarci con tutto ciò, onde evitare di essere scambiati per opportunisti, se abbiamo responsabilità politiche, economiche, sociali, culturali, invece di chiedere posti di prestigio e “via libera” per la Rai i Giornali etc (con una riverniciatina di tenue sinistrese), vi chiediamo di nuovo scusa e ci tiriamo da parte. Si cara Annunziata, questa idea (o simile) dovresti brandire contro le scempiaggini che cercano di propalarci dalla destra al potere che Gramsci, in ultima analisi è stato anche un maestro di umiltà umana e politica. Alla faccia del Cavalier Silvio Berlusconi e della sua tessera piduista.
Maurizio Aversa

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